L’essere umano è l’unico mammifero a cui, crescendo, viene insegnato a trattenere la pipì.
A un certo punto dell’infanzia, ci viene chiesto di aspettare. Di “chiedere prima”, di “resistere fino al bagno”, e spesso, quando ce ne dimentichiamo, arriva anche il rimprovero.
È un passaggio che sembra naturale nella convivenza sociale, e in molti casi lo è. Ma resta comunque significativo interrogarsi su quanto precocemente questa richiesta arrivi e su come venga trasmessa.
Quando il bambino non ha ancora sviluppato pienamente la capacità di sentire e decodificare lo stimolo in tempo utile, la richiesta di trattenere può essere vissuta come un’ingiunzione che crea confusione.
Soprattutto se è accompagnata da giudizio, vergogna, o punizione.
Col tempo, questa pressione può diventare un automatismo:
tratteniamo anche quando non c’è nulla da trattenere.
A vescica vuota, senza alcuno stimolo reale, il corpo esercita ugualmente una tensione.
Un’azione sottile, quasi invisibile, ma concreta: chiudere il rubinetto anche quando è già chiuso.
Il pavimento che trattiene
Può sembrare poca cosa. Ma non lo è.
Perché quella tensione si accumula proprio in un punto chiave del nostro corpo: il pavimento pelvico. (Guarda il box anatomico alla fine dell'articolo per approfondire l'anatomia associata a questa funzione.)
Questa zona, spesso ignorata o contratta senza consapevolezza, è molto più di un meccanismo di chiusura.
È un punto di equilibrio, una base viva su cui poggia l’intero asse corporeo.
Trattenere in quel punto, anche solo un po’, anche solo inconsapevolmente, può alterare in modo sottile ma significativo la nostra capacità di respirare, di stare eretti, di sentire apertura o chiusura.
Il corpo cambia disposizione. Il movimento interno si restringe. E la tensione comincia a salire.
Un piccolo test
Per capire se questo trattenere vive ancora nel tuo corpo, puoi provare un semplice esperimento.
In un momento qualsiasi della giornata, in cui non devi urinare, porta l’attenzione al basso ventre.
Chiediti:
"Sto trattenendo qualcosa, anche senza motivo?"
Ora immagina di dover fare pipì. Solo immaginalo.
E osserva:
- C'è un'azione di rilascio che puoi compiere?
- Senti che si apre qualcosa nel pavimento pelvico?
Se sì, noterai due cose:
- La pipì non uscirà comunque (perché non c’è nulla da eliminare).
- Ma il rilascio può produrre effetti sorprendenti:
- Un senso di leggerezza, apertura, respiro più ampio, se il corpo è pronto.
- Oppure un senso di sforzo, fatica a respirare, pressione verso il basso, se quel rilascio è ancora troppo per l’organismo.
- O sensazioni intermedie fra queste.
Nessun obbligo
In quel caso, non forzare.
Non c’è niente da correggere.
Solo da ascoltare.
Puoi semplicemente ricordartelo.
E quando, in futuro, sentirai un bisogno più profondo di lasciare andare…
saprai dove cercare.
Trattenere la pipì significa impedire l’uscita dell’urina dalla vescica attraverso l’uretra. Questo avviene attraverso una combinazione di:
Muscoli involontari (controllati dal sistema nervoso autonomo)
Muscoli volontari (che possiamo contrarre consapevolmente)
Strutture principali coinvolte
1. Sfintere uretrale interno
Involontario
È un anello muscolare situato all’uscita della vescica.
Costituito da muscolatura liscia, si contrae automaticamente per impedire il passaggio dell’urina.
Più sviluppato negli uomini, dove aiuta anche a impedire il reflusso dello sperma nella vescica.
2. Sfintere uretrale esterno (o sfintere volontario)
Volontario
Costituito da muscolo striato.
È il muscolo che impariamo a controllare da bambini per “resistere”.
Circonda l’uretra nella sua parte intermedia ed è parte integrante del diaframma urogenitale.
Il ruolo del pavimento pelvico
In entrambi i sessi, il pavimento pelvico gioca un ruolo fondamentale nel trattenere.
È un insieme di muscoli profondi e trasversali (soprattutto il muscolo pubococcigeo e ileococcigeo) che:
sostengono gli organi pelvici (vescica, utero, retto)
coordinano le pressioni interne
rispondono a stimoli posturali, respiratori e addominali