Se un pesce potesse parlare
Photo by Marlene Prusik / Unsplash

Se un pesce potesse parlare

Serve buon senso. L’unico senso davvero buono che abbiamo dimenticato: l’enterocezione. Tornare a sentire da dentro, abitare se stessi, per non abusare più di ciò che è di tutti.


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Ne ho sentite tante, negli anni. Persone indignate, stanche, frustrate, parlare dei “potenti”.

Li definiscono avidi, manipolatori, spietati. Alcuni li chiamano burattinai, altri li immaginano dietro a sipari di velluto nero, intenti a decidere le sorti del mondo come se giocassero a Risiko.

Sono gli stessi discorsi che si fanno spesso quando ci si sente piccoli, impotenti, soffocati. Quando si è convinti che la colpa di tutto ciò che non funziona là fuori sia sempre di qualcun altro, più in alto, più forte, più libero.
Ecco, tutte queste conversazioni, sempre più numerose, che animano cene, canali Youtube e dibattiti di paese — spesso ripetitive, sempre animate — mi hanno fatto riflettere.

Mi sono chiesto: Cosa penseranno di noi gli altri animali?

No, davvero. Se un pesce osservando il nostro modo di vivere, di relazionarci, di consumare, produrre, scaricare, deturpare… potesse parlare, cosa direbbe di noi?

Se ne starebbe lì, immerso nella sua acqua ormai inquinata, con le branchie che filtrano microplastiche e gli occhi vitrei che cercano ancora zone di silenzio, e magari ci direbbe:

“Ma voi, che vi lamentate dei vostri capi, dei vostri governanti, delle vostre élite… vi siete mai chiesti come trattate noi?

"Voi umani, che vi sentite vittime dei giochi di potere, lo siete anche delle vostre stesse abitudini, delle vostre scelte quotidiane. E nel frattempo, noi? Noi che potere non ne abbiamo, neanche una voce? Guardate cosa ci fate: ci togliete l’habitat, ci divorate in massa, ci allevate in vasche senz’anima, ci usate come decorazione, come merce, come intrattenimento.”

E se potesse parlare un cinghiale, o un gabbiano, o un albero? Direbbero forse:

“A noi non importa chi siano i vostri potenti. Per noi, lo siete tutti. Ogni singolo essere umano ha più potere di noi, e quasi nessuno lo usa con cura.”

Il paradosso è che il pesce — e con lui ogni altro animale — non conosce il concetto di proiezione. Non sa cosa significhi vivere fuori di sé, riversando sul mondo la propria rabbia, la propria frustrazione, il proprio vuoto affettivo o esistenziale.
Non sa cosa significhi mentire a se stessi, convincersi di essere buoni mentre si partecipa a un sistema violento.
Non conosce la strategia, la manipolazione, l’indifferenza moralmente giustificata.
Non ha ferite psicologiche che lo rendano tossico, non ha ego da difendere.
Semplicemente esiste, e probabilmente si chiederebbe di noi:

"perchè mai non riescono semplicemente ad esistere?!"

Viviamo fuori da noi.
Viviamo nella testa, nell’immagine, nella lotta contro qualcosa o qualcuno.
E mentre malediciamo quelli “più in alto”, diventiamo identici a loro: disconnessi dalla vita, dal corpo, dalla terra.

Siamo i pesci che accusano lo squalo, senza accorgerci che anche noi, con la nostra bocca aperta e i denti del giudizio, stiamo già mordendo e allora forse il punto non è se ci siano davvero o meno dei burattinai a governare il mondo.

Il punto è:

Non è giunta forse l'ora di guardarci davvero allo specchio? Non con gli occhi del narcisismo, ma con lo sguardo sincero di chi vuol togliersi di dosso una corazza?

Vogliamo ancora raccontarci vittime dei potenti in un mondo deturpato e asservito alle bramose esigenze della nostra specie?

E se ognuno nel suo piccolo tornasse a sentirsi un pò di più, ogni giorno di più, siamo sicuri che quei famosi potenti avrebbero ancora qualcuno da manipolare?

Non sarà la morale a cambiarci. Nè i vegetariani, nè Green Peace!
Serve Buon Senso! L'unico Senso davvero Buono che abbiamo dimenticato: l'Enterocezione.
Tornare a sentire da dentro, abitare se stessi per non abusare più di ciò che è di tutti!

 Note tecniche

  • Proiezione psicologica: Meccanismo di difesa individuato da Freud, attraverso cui si attribuiscono ad altri (o all’esterno) emozioni, desideri o conflitti interiori che non si vogliono riconoscere come propri. Il pesce, in quanto essere non umano, non vive questa separazione tra sé e il mondo.
  • Enterocezione: La capacità di percepire ciò che avviene all’interno del proprio corpo (battito, fame, respiro, tensione…) e di identificarsi con esso. È il senso che ci riconnette a noi stessi e che può contrastare le derive distruttive della disconnessione da sé.
  • Narcisismo evolutivo: Termine coniato all’interno di BioMAGIA per indicare la tendenza dell’essere umano a porsi al centro del mondo e sopra ogni altra forma vivente, come conseguenza di un’evoluzione che ha privilegiato la mente a discapito della percezione incarnata.
  • Antropocentrismo spirituale: La visione secondo cui l’essere umano sarebbe l’unica creatura dotata di coscienza o connessione col divino. L’articolo lo problematizza, proponendo una riflessione più ampia sul valore e la dignità di ogni essere vivente.

Narcisismo evolutivo: quando la specie si guarda allo specchio
Non è solo l’individuo a cadere nel narcisismo. Anche la specie umana ha costruito un’immagine idealizzata di sé, dimenticando di essere, prima di tutto, un animale fra gli altri.
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Enterocezione ed esterocezione sono due vie opposte del sentire. Negli stati di sicurezza prevale la percezione interna; nella paura domina la sorveglianza esterna. Solo riducendo gli stimoli esterni possiamo tornare ad ascoltare il corpo dall’interno.

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