La paura di rientrare... nel corpo!
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La paura di rientrare... nel corpo!

Rientrare nel corpo non è una resa, ma un ritorno consapevole a una verticalità reale. Non trattenuta dalla mente, ma sostenuta dalla struttura viva del nostro essere.


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Rientrare nel corpo non è, come spesso si crede, un gesto passivo, non è una resa. E nemmeno una perdita. Eppure il linguaggio comune tradisce un’idea diffusa: ci si “abbandona” al corpo. Si “cede” al sentire.

Tutto, in questa scelta di parole, evoca una perdita di controllo. Un rischio. Una discesa in qualcosa di sconosciuto, forse pericoloso.
Comprensibile, se consideriamo quanto la nostra cultura abbia celebrato per secoli la mente come guida assoluta.
Abbiamo imparato a credere che controllo significhi sicurezza, che razionalità sia sinonimo di evoluzione; controllare emozioni, impulsi, reazioni, dominare il corpo. Questo è diventato l’obiettivo.

Così, ogni movimento che ci riconnette a una dimensione corporea profonda appare come una minaccia a quell’equilibrio faticosamente costruito.

Ma c’è di più.

Il ritorno al corpo è percepito come un andare “verso il basso”.
Un discendere, una direzione opposta a quella impressa nella nostra narrazione evolutiva: elevarci, sollevarci, raggiungere la vetta.

Dalla postura eretta al progresso tecnologico, l’umano si è identificato nella verticalità, nel distacco dal suolo, nell’idea che l’alto sia superiore al basso.

Rientrare nel corpo, allora, può sembrare una sconfitta, un cedimento, un’uscita dalla linea di comando per mischiarsi al caos. Ma questa è solo una trama inconscia, una narrazione che si è radicata senza che potessimo sceglierla davvero.

Non è il corpo a fare paura, ma ciò che rappresenta: la fine dell’illusione del controllo.

Eppure, il paradosso è evidente.

Più ci concediamo di rientrare – non abbandonarci, ma rientrare consapevolmente – più il corpo ritrova la sua vera verticalità. Una verticalità piena, incarnata.

Non quella trattenuta dalla testa e sostenuta dallo sforzo mentale, ma quella radicata nelle gambe, nella colonna, nella connessione profonda con il suolo e con l’alto insieme.

Una verticalità che non esclude, ma include. Che non si oppone alla materia, ma la attraversa.

La direzione “discendente” dell’esperienza sensoriale viene spesso vissuta come regressiva o rischiosa a causa del predominio culturale della mente come centro decisionale e della storica rimozione delle emozioni. Tuttavia, il ritorno al corpo non implica la perdita di controllo, bensì il recupero di una verticalità più completa, sostenuta dalla struttura profonda dell’organismo.

Questo è il rientro a cui invitiamo in BioMAGIA: non un tuffo irrazionale nell’inconscio, ma un riconoscimento lucido della nostra natura incarnata.
Rientrare nel corpo non è tornare indietro. È andare più a fondo.
Non si tratta di rinunciare a ciò che abbiamo conquistato come specie, ma di riscoprirne le fondamenta.
Perché solo chi è davvero radicato può sollevarsi senza sforzo.


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