Il corpo integra ciò che può sostenere. Il resto lo trattiene o lo rifiuta.
Una delle illusioni più sottili nel lavoro corporeo è pensare che basti “liberare” una zona per produrre un cambiamento stabile. Sciogliere una tensione, rilasciare un nodo fasciale, liberare un’emozione: sono tutte azioni potenti, ma se non vengono integrate lungo l’asse dell’intera struttura, restano frammenti. E i frammenti non durano.
Non è solo una questione meccanica. È una questione di verticalità.
Ogni cambiamento locale modifica l’equilibrio globale. Il corpo non funziona per compartimenti, ma per continuità: se sciolgo una catena muscolare nel bacino, ad esempio, cambio l’appoggio a terra, ma anche la dinamica tra torace e cranio. Se alleggerisco un carico nel diaframma o nei trapezi, modifico il modo in cui la parte inferiore si sente sostenuta.
Per questo motivo ogni intervento, per essere veramente efficace, ha bisogno di un riallineamento globale.
Integrare, non solo rilasciare
Quando il corpo viene alleggerito da una tensione, la sua struttura si ridistribuisce. Ma se non trova una nuova organizzazione stabile, riattiverà – più o meno rapidamente – gli schemi di compenso preesistenti, riportando il sistema alla condizione precedente.
Non per “cattiveria” o resistenza, ma per paura della caduta.
Nel nostro vissuto corporeo profondo, ogni modificazione importante che non viene recepita dall’altro polo dell’organismo (alto o basso) genera una discontinuità percettiva. Il sistema posturale, che lavora per continuità e sicurezza, interpreta questa discontinuità come un rischio, come una minaccia alla propria stabilità. E allora cosa fa?
Compensa.
Riattiva tensioni, chiude le articolazioni, riduce l’escursione, irrigidisce.
È per questo che il momento più importante della seduta non è sempre quello del rilascio, ma quello dell’integrazione.
I due poli: equilibrio o conflitto
Riprendendo il concetto di Morale bipolare — quella tendenza inconscia della specie umana a privilegiare il polo superiore (testa, viso, voce, controllo) a scapito del polo inferiore (bacino, genitali, radicamento, piacere) — possiamo osservare come ogni miglioramento reale passi dalla riconciliazione tra questi due estremi.
Un bacino liberato che non trova una testa pronta ad accoglierne il nuovo slancio, viene risentito come troppo.
Una testa alleggerita che non comunica il rilascio verso il basso, lascia il bacino solo, costretto a sorreggere un cambiamento che non lo riguarda.
Il cliente, anche se non verbalizza, percepisce questa incoerenza. E il suo sistema nervoso risponde attivando strategie difensive.
Riallineare per integrare
Per questo motivo, chiudere ogni trattamento con un momento di riallineamento posturale non è un “extra”, ma una fase terapeutica a tutti gli effetti.
Significa aiutare il corpo a:
- ridefinire la propria verticale intorno ai cambiamenti emersi
- sperimentare un equilibrio tra i due poli che non lo costringa alla tensione
- confermare al sistema nervoso che il cambiamento è sicuro, sostenibile, acquisito
Ad aiutarci ci pensa ancora una volta il corpo. Durante una sessione, rimanendo nell'atteggiamento d'ascolto, potremo facilmente sentire quando il corpo sarà finalmente integrato e avrà assimilato il cambiamento. La sensazione è quella di un cliente pronto ad alzarsi, di non saper più cos'altro fare.
Fino a quel momento il corpo saprà guidarci dove serve ancora una mano a bilanciare. Potremmo aver trattato una tensione cervicale e sentire il richiamo delle gambe. Ci basterà toccarle perchè ci indichino dove serve il contatto. Da li potrebbe richiamarci verso il sacro e magari a seguire di nuovo sulle cervicali. Ci basterà seguire fiduciosi le sue indicazioni per accompagnarlo al nuovo equilibrio.
Tecniche e strumenti
Esistono molte tecniche che si fondano su questo principio integrativo. Il Rolfing®, ad esempio, prevede in ogni sessione un lavoro specifico sul bacino (pelvic lift) e sulla zona cranio-cervicale (neck work) per restituire una continuità verticale funzionale.
Anche il lavoro cranio-sacrale, pur attraverso approcci più sottili, mira proprio a restituire fluidità al sistema attraverso l’asse che connette i due poli della colonna.
Ogni professionista ha i propri strumenti. Ma qualunque sia la tecnica, il principio resta valido:
nessuna parte si trasforma davvero se il resto del corpo non la accoglie.