Perché è così difficile ascoltare?
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Perché è così difficile ascoltare?

Ascoltare non è solo udire parole: è lasciarsi attraversare dalle frequenze emotive di chi parla. Ma se alcune note in noi sono bloccate dal giudizio, l’ascolto diventa impossibile.


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A prima vista sembra un gesto semplice: stare in silenzio mentre l’altro parla, prestare attenzione alle sue parole, magari annuire di tanto in tanto. Ma ascoltare davvero è un’altra cosa. Non significa solo registrare suoni, non significa nemmeno capire con la mente. Ascoltare significa entrare in risonanza.

Immagina di essere uno strumento musicale. Se una chitarra vuole risuonare insieme a un pianoforte, deve lasciarsi attraversare dalla stessa vibrazione che riceve. Così funziona anche tra esseri umani: ogni conversazione porta con sé una frequenza invisibile, che non appartiene alle parole ma allo stato d’animo di chi le pronuncia.

Se ti racconto la mia tristezza, la frequenza sarà la tristezza. Se ti parlo di un progetto con entusiasmo, la frequenza sarà l’ambizione. Se ti confesso la mia rabbia, quella sarà la vibrazione che ti raggiungerà, oltre il significato letterale delle frasi.

L’ostacolo del giudizio

Il problema nasce quando quella frequenza incontra un blocco dentro di noi. Molte delle nostre note interiori — emozioni, qualità, possibilità espressive — non vibrano più liberamente. Restano trattenute, bloccate dal giudizio.

Da bambini eravamo strumenti completi, capaci di suonare tutte le tonalità: gioia, rabbia, eccitazione, paura, curiosità, tenerezza. Poi, poco a poco, abbiamo imparato che alcune note erano “stonate”: non si doveva mostrare rabbia, non era opportuno piangere, non era sicuro correre troppo, ridere troppo, parlare troppo. E così la mente ha cominciato a bloccare certe corde, a tendere certi fili nervosi per impedirci di vibrare in libertà.

Il risultato è che, quando qualcuno ci parla con una frequenza che corrisponde a una nota censurata in noi, nasce un conflitto. Se tu mi parli con rabbia, ma io non accetto la mia, sarò subito in difficoltà: da una parte la tua vibrazione mi invita a entrare in empatia, dall’altra il mio giudizio interno me lo vieta. È come se il tuo strumento mi chiamasse a suonare in una tonalità che io non posso più produrre.

L’ascolto inquinato

Questo è il motivo per cui, anche con la migliore intenzione, spesso non riusciamo ad ascoltare davvero. Restiamo in superficie, filtriamo, interpretiamo, oppure ci difendiamo. Ti ascolto ma dentro di me mi irrigidisco, ti ascolto ma penso già a come rispondere, ti ascolto ma evito di sentire fino in fondo ciò che la tua frequenza provoca in me.

Quante volte accade nelle relazioni quotidiane? Un figlio che esprime rabbia e un genitore che lo zittisce perché non tollera quella stessa rabbia in sé. Un amico che parla della propria paura e noi che, per non toccare la nostra, cambiamo discorso con una battuta. Un partner che racconta un dolore e noi che, incapaci di reggerlo, offriamo subito una soluzione anziché stare con quella vibrazione.

In tutti questi casi, non stiamo realmente ascoltando. Stiamo difendendo la nostra identità da una frequenza che non sappiamo più abitare.

Tornare strumenti completi

Eppure la possibilità esiste: tornare a vibrare in tutte le nostre note. Significa permettere a rabbia, tristezza, paura, gioia, desiderio di riprendere posto nel corpo come qualità legittime dell’essere umano. Non per lasciarci travolgere, ma per non dover più censurare.

Un buon ascoltatore non è colui che sopporta o finge neutralità, ma colui che risuona. Che accetta di lasciarsi attraversare. Che può sentire la rabbia dell’altro senza esserne minacciato, perché la conosce in sé e non la teme. Che può vibrare con la tristezza di chi ha davanti senza crollare, perché ha già accolto la propria.

Jung chiamava queste parti rifiutate “ombra”. Freud parlava di “inconscio”. Noi potremmo semplicemente dire che sono le stanze chiuse della nostra casa interiore: stanze che non vogliamo abitare ma che restano parte di noi. Riappropriarci di quelle stanze significa riavere accesso a tutte le frequenze, tornare strumenti completi.

L’ascolto come pratica di vita

Ecco perché ascoltare è così difficile. Perché ci costringe, se è autentico, a entrare in contatto con note che abbiamo bandito. Eppure, è anche una delle esperienze più trasformative che possiamo fare.

Ascoltare un altro essere umano non è soltanto un gesto di gentilezza: è un atto di integrazione. Ogni volta che entro in risonanza con una frequenza che avevo escluso, allargo i confini di ciò che sono. Ogni volta che non mi difendo da ciò che sento, il mio corpo ricomincia a vibrare un po’ più libero.

Così, poco a poco, divento capace di ascoltare davvero. Non solo l’altro, ma anche me stesso. Non solo le parole, ma la vita che vibra dietro di esse.

E te?

Quali sono le note che ti mandano in difficoltà? Tristezza, eccitazione, paura, felicità o cos’altro?


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