Prima che diventassimo bipedi, parlanti e pensanti, eravamo semplicemente mammiferi arboricoli.
Non esisteva ancora il concetto di "uomo", né la necessità di pensare alla propria identità.
Esisteva solo il corpo, pienamente presente nel suo habitat naturale: gli alberi.
Lo scimpanzé non è nostro antenato, ma nostro cugino.
Il punto di partenza, però, era comune.
I primati arboricoli vivevano immersi nella foresta, in un mondo tridimensionale fatto di rami, altezze e movimento costante.
Ogni gesto era immediatamente calibrato attraverso la sensazione:
- il peso distribuito sui rami,
- la forza delle dita che stringevano,
- la coordinazione precisa degli arti che si spostavano tra i vuoti.
La percezione era totale: ogni muscolo, ogni articolazione, ogni organo sensoriale partecipava all’equilibrio del corpo.
Le braccia erano ancora molto più lunghe delle gambe, pensate per abbracciare i tronchi, per ondeggiare, per spostarsi nello spazio sospeso.
La colonna vertebrale, ancora inclinata, offriva il giusto compromesso tra verticalità occasionale e posizione quadrupede dominante.
Il bacino, stretto e flessibile, non aveva ancora dovuto sostenere il peso permanente della verticalità.
Ogni movimento era sentito, non pensato.
Ogni gesto era intero.
In questo stadio, il Sistema Nervoso Autonomo seguiva il suo ritmo ancestrale: attivazione rapida di fronte al pericolo, rapido ritorno al riposo appena cessata la minaccia.
Non c'era ansia proiettata sul futuro, non c'era giudizio, non c'era distanza tra l’essere e il sentirsi.
La loro interezza era la loro esistenza.