In molte discipline olistiche — dallo yoga allo shiatsu, dall'ayurveda alla bioenergetica — il desiderio di aiutare è il motore più profondo del lavoro. È ciò che ci ha avvicinati al corpo, al sentire, alla relazione con l’altro.
Eppure, proprio questo desiderio, se non riconosciuto e raffinato, può diventare un ostacolo.
Molti professionisti, di fronte a un cliente che non riesce a sentire, che si blocca, che si irrigidisce o che manifesta un disagio persistente, attivano inconsapevolmente una modalità soluzionante: provano cioè a “tirarlo fuori”, a “sbloccarlo”, a cambiare il suo stato. A salvarlo.
In altre parole: remano nella direzione opposta rispetto al sintomo. Come in un tiro alla fune in cui l'antagonista è il sintomo e il cliente la fune.
Il conflitto invisibile: sintomo vs reazione
Quando reagiamo al sintomo con urgenza, con interpretazione o con intento correttivo, amplifichiamo l’antagonismo già presente nel sistema della persona.
Il corpo, infatti, non è bloccato per caso: è in uno stato di protezione attiva, spesso fuori dalla finestra di tolleranza. Provare a rimuovere il sintomo equivale a minacciare ulteriormente la sicurezza del sistema. Il risultato? Ulteriore chiusura, o falso adattamento.
Questa dinamica ha una via d’uscita. E non passa per la pressione, ma per l’azione indiretta.
Cos’è l’azione indiretta?
È la scelta di non contrapporsi.
È l’arte di stare vicino a ciò che accade, anche se scomodo, senza volerlo cambiare.
È l’atteggiamento del facilitatore che non guida via dal dolore, ma accompagna dentro ciò che già c’è, disarmando la lotta.
Questa modalità richiede un cambio di postura interiore: il terapista non è più l’agente del cambiamento, ma il testimone che genera condizioni favorevoli affinché il cambiamento possa accadere da sé.
Non si assume la responsabilità e gli onori del successo terapeutico ma quelli della guida, accompagnando il cliente attraverso le sofferenze ma anche le gioie del processo.
È un'azione che il terapista o il facilitatore esprime attraverso il tocco, il contatto, lo sguardo o il tono della voce. Ogni azione, anche quella volta alla soluzione porta con sè questo atteggiamento.
Cosa accade nel sistema quando non ci opponiamo
Durante un massaggio terapeutico, una conversazione d'aiuto o delle pratiche di movimento che si svolgono in un clima "indiretto", la fisiologia risponde sempre di più e sempre meglio con segnali chiari:
- il respiro si regola spontaneamente
- lo sguardo si ammorbidisce
- il tono muscolare fluttua
- emergono micro-movimenti, tremori, sospiri
- può comparire sonnolenza, commozione, scarico emotivo o visivo
Sono tutti segnali di integrazione e di parziale rientro nella finestra di tolleranza.
Quando il professionista non interviene per correggere ma osserva e contiene, il sistema del cliente si sente finalmente visto nella sua interezza e può cominciare a lasciarsi andare.
Se ti è capitato di avere clienti che già solo incontrandoti si sentono meglio, beh, probabilmente hai già messo in atto questo tipo di relazione.
Il ruolo del terapista come campo regolante
Questo approccio si fonda sulla convinzione che l’essere accanto valga più del “fare su”.
Il corpo, quando accolto senza giudizio, auto-organizza il proprio rilascio. Ma per farlo ha bisogno di un campo che non si opponga, che non forzi, che non lo percepisca come rotto, al contrario ne concepisca il conflitto interno e vi si ponga come a contenimento.
Il terapista diventa quindi:
- specchio neutro dei processi in corso
- testimone regolato che modula il proprio sistema per offrire coerenza all’altro
- riconoscitore di microsegnali, in grado di leggere il processo anche quando non si manifesta in modo eclatante
Guaritore o facilitatore?
Considerare l’organismo come un sistema dotato di capacità autoregolative profonde, che emergono spontaneamente in condizioni favorevoli, ci permette di alleggerire — e in parte dissolvere — l’Ego del Guaritore: quella parte di noi che si sente l’agente indispensabile del cambiamento.
In questa prospettiva, il protagonista non è più il terapeuta, ma l’organismo stesso del cliente, la sua intelligenza innata, la sua capacità di riorganizzazione.
Il nostro compito allora si trasforma.
Diventa quello di creare le condizioni perché il sistema possa attivare ciò che già sa fare.
Diventa quello di non giudicare, di non forzare, di non correggere.
Diventa quello di accogliere il cliente anche nella sua disfunzione, riconoscendo che non è qualcosa da eliminare, ma una forma temporanea dell’equilibrio possibile.
Solo così il nostro ruolo può davvero dirsi quello di un facilitatore: non chi aggiusta da fuori, ma chi accompagna da dentro.
Un testimone fiducioso, presente e consapevole, che sostiene il processo invece di orientarlo.
Le basi scientifiche dell’azione indiretta
Diversi studi sulla neurocezione (Porges), sull’enterocezione (Craig, Critchley), e sulla regolazione affettiva (Schore, Siegel) mostrano che la sola presenza regolata modifica la fisiologia dell’altro.
Non è un’intuizione poetica: è un dato misurabile.
La modulazione del nervo vago, la coerenza cardiaca, la sincronizzazione dei pattern respiratori, sono tutte risposte possibili alla qualità della relazione, prima ancora che al contenuto dell’intervento.
BioMAGIA: uno spazio di rieducazione del sentire
BioMAGIA propone un impianto teorico che aiuta il professionista a leggere ciò che accade prima del cambiamento visibile.
Non offriamo tecniche, ma una mappa per comprendere i passaggi evolutivi del sentire.
Chi accompagna altre persone ha bisogno di fidarsi delle microvariazioni che precedono la trasformazione. Ha bisogno di leggere il corpo non come risposta, ma come linguaggio.
Per questo la “non risposta” del cliente non è un fallimento: è una fase.
E saperla attraversare senza remare contro, può fare tutta la differenza.
Note per operatori
- Azione indiretta: modalità di intervento non orientata alla soluzione immediata, ma al sostegno del processo interno.
- Rischio del “remare contro”: voler troppo aiutare può generare resistenza o spostare il focus dal sentire all’adattarsi.
- Segnali da osservare: variazioni di tono muscolare, ritmo respiratorio, qualità del contatto, micro-movimenti.
- Ruolo dell’operatore: restare presente, non invasivo, fidarsi della naturale capacità del corpo di riorganizzarsi.
- Fisiologia di base: il sistema nervoso autonomo può riequilibrarsi spontaneamente in presenza di condizioni di sicurezza.