L'Evoluzione ci ha indeboliti
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L'Evoluzione ci ha indeboliti

Nell’ascesa verso la mente abbiamo dimenticato il corpo profondo. Lì, tra respiro e radici, si nasconde il senso perduto che può riportarci vivi e interi.


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L’evoluzione come lotta per stare in piedi

La nostra storia evolutiva può essere letta come una lunga battaglia contro la gravità. Per milioni di anni ci siamo mossi su quattro arti, con il peso distribuito in modo uniforme e il ventre rivolto verso la terra. Poi, lentamente, abbiamo osato sollevarci.
Il passaggio alla bipedia non è stato solo un cambio di postura: ha modificato il nostro respiro, il nostro equilibrio, il nostro rapporto con il mondo. Stare in piedi ci ha liberato le mani, ha ampliato il nostro sguardo e ci ha dato accesso a nuove possibilità di sopravvivenza.

Ma questo cambiamento ha avuto anche un prezzo: per mantenere l’equilibrio e alimentare le nuove funzioni, gran parte della nostra energia si è spostata verso il polo superiore — il regno della mente, del linguaggio, della socialità.

L’ascesa verso il polo superiore

Con le mani libere, abbiamo imparato a manipolare oggetti, a costruire utensili, a modellare il mondo.
Con le mandibole liberate dal peso delle braccia aderenti al terreno, abbiamo sviluppato la parola, i canti, le narrazioni.
Con la mente stimolata dalla manipolazione e dalla parola, abbiamo sviluppato la ragione, elaborato significatistrategieregole e ruoli.
Ogni passo in questa direzione ha aumentato la nostra capacità di controllare l’ambiente — e insieme, di controllare noi stessi.

La soppressione degli istinti è diventata un’arte raffinata: trattenere l’impulso di scappare, di combattere, di esprimere rabbia o desiderio. Questa abilità ci ha permesso di vivere in gruppi sempre più numerosi, di creare città, culture, civiltà.

Ma l’ascesa ha avuto un rovescio: è stata accompagnata da una progressiva fuga dal basso.

La fuga dal basso e la paura della caduta

Il polo inferiore — quello delle gambe, del bacino, dei genitali, dell’intestino — è diventato un territorio “secondario”, spesso visto come sporco, istintivo, incontrollabile.
Culturalmente e simbolicamente, il basso è stato associato al peccato, alla debolezza, alla perdita di dignità. Il corpo che cade è un corpo che fallisce. Il corpo che si inginocchia è un corpo che si arrende.

In modo quasi inconscio, abbiamo imparato a vivere nella parte alta di noi stessi, identificando la nostra personalità con la testa, il volto, la voce, le mani che salutano, stringono, indicano.
La parte bassa, invece, è diventata un accessorio funzionale: serve a camminare, a spostarsi, a espellere scarti, a procreare. La liberiamo solo quando è necessario.

Siamo diventati una specie che teme di cadere non solo fisicamente, ma simbolicamente: la caduta è il ritorno agli istinti, il venir meno del controllo.
Il mito di Inferno e Paradiso racconta bene questo Codice Bipolare: l’alto come purezza, il basso come perdizione.

Morale, malattia e il colpo di grazia all’integrità

Se la paura della caduta ha scavato un solco tra alto e basso, la morale e il concetto di malattia l’hanno reso un abisso.
La morale ha stabilito cosa è “giusto” sentire ed esprimere e cosa è “sbagliato”. La malattia ha trasformato il corpo in un oggetto fragile, di cui non fidarsi, da mantenere efficiente solo per servire la mente e i suoi scopi.

La mente è diventata il burattinaio dell’organismo: governa i movimenti, filtra le emozioni, decide cosa può passare e cosa no.
Il corpo, così, ha smesso di essere un luogo da abitare per diventare una macchina da gestire.

Il senso perduto: l’enterocezione

In questo processo, abbiamo smarrito un senso fondamentale: l’enterocezione, la capacità di percepirci dall’interno.
Questo senso non riguarda il toccare con la pelle o il vedere con gli occhi, ma il sentire ciò che accade nel nostro ventre, nel battito del cuore, nel ritmo del respiro, nella tensione o nelle emozioni che si muovono dentro di noi.

Senza enterocezione, il corpo diventa preda di tensioni croniche, di disturbi che non trovano causa apparente, di una stanchezza che non si risolve con il riposo.
Il malessere non è solo fisico: è esistenziale. Non sappiamo più dove siamo, perché ci siamo e cosa ci serve davvero.

Uscire per salire, tornare per vivere

La nostra traiettoria evolutiva ci ha portato a uscire dal corpo per salire verso la mente. È stato un viaggio necessario, ma incompleto.
Ora, il passo evolutivo successivo potrebbe essere il ritorno: ricongiungere alto e basso, mente e ventre, respiro e radici.
Riappropriarci del corpo non significa rinunciare alla mente, ma integrarla in un sistema più ampio, in cui possiamo sentirci pienamente vivi.

La postura come espressione di interezza

Non possiamo né vogliamo rinunciare alla bipedia: è il frutto di milioni di anni di adattamenti e di conquiste. Ma questa postura eretta dovrebbe essere l’espressione di un corpo integro, in cui alto e basso dialogano e si sostengono.

Dalla nascita, ogni essere umano ripercorre inconsciamente lo spartito dell’evoluzione: dal movimento ondulatorio del neonato, che ricorda quello dei primi organismi acquatici, al gattonare che riecheggia la quadrupedia, fino ai primi passi incerti e poi alla piena verticalità. È un percorso di conquista, in cui il corpo si apre progressivamente alla gravità e alla relazione con il mondo.
Eppure, anno dopo anno, questa verticalità perde la sua freschezza originaria: le tensioni si accumulano, le regole sociali insegnano a trattenere emozioni e impulsi, il piacere spontaneo di muoversi e respirare viene sostituito dal dovere di controllarsi e funzionare. Ciò che da piccoli era gioia di esistere diventa, da adulti, un continuo adattarsi a richieste esterne, a scapito della naturalezza.

Oggi, il corpo umano racconta questa perdita: spalle contratte, colli protesi, bacini bloccati, sguardi assenti. Segni evidenti di una frattura interna che la nostra stessa postura rivela e amplifica.

Recuperare una postura integra non significa tornare indietro, ma abitare in modo nuovo la verticalità, mantenendo i vantaggi evolutivi conquistati e restituendo al corpo la sua interezza originaria.
La postura diventa così una porta d’accesso privilegiata per ritrovare noi stessi, un ponte tra ciò che siamo diventati e ciò che possiamo ancora essere.

L’enterocezione è la chiave per riempire nuovamente il corpo di presenza e armonizzare la postura dall’interno, liberandola dalle tensioni che la deformano. Sentire il corpo in profondità significa restituirgli forma e funzione, non per sforzo meccanico, ma per naturale coerenza con ciò che vive dentro di noi.

BioMAGIA: il ritorno al corpo

BioMAGIA raccoglie e intreccia questa lunga ricerca: dall’osservazione delle nostre radici evolutive, alla comprensione delle forze che ci hanno separato dal corpo, fino alla pratica diretta per ritrovare l’unità perduta.
Non come tecnica, ma come spazio di esperienza in cui riscoprire il senso nascosto, riconoscere le tensioni che ci trattengono e tornare a vivere in un corpo presente, integro e profondamente nostro.


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