Ogni processo di trasformazione, qualunque sia il suo ambito o la sua intensità, si sviluppa secondo una dinamica ciclica e a spirale. I cicli non sono tutti uguali: alcuni sono brevi e frequenti, altri si estendono nel tempo, stratificandosi in macro-cicli che racchiudono al loro interno quelli più piccoli.
Ma a prescindere dalla loro scala, ogni ciclo attraversa fasi ricorrenti che costituiscono l’ossatura di ogni vero cambiamento.
La prima fase: l'Emersione
Nel contesto del rientro nel corpo, questo movimento ciclico inizia con l’emersione di una figura sensoriale dallo sfondo percettivo. In termini gestaltici, potremmo dire che una “figura” si staglia sullo “sfondo” indifferenziato della coscienza. Quando si considera il corpo, la figura è generalmente una sensazione: una tensione, un vuoto, un fastidio, un dolore o una presenza indefinita che, per intensità o persistenza, cattura l’attenzione e apre un varco nella superficie della coscienza.
Nel linguaggio della psicologia della Gestalt, ogni esperienza percettiva si struttura attraverso un rapporto tra figura e sfondo. La figura è ciò che emerge, cattura l’attenzione e si definisce nella coscienza; lo sfondo è l’ambiente indistinto da cui essa si distacca. Questo schema è valido anche per l’ascolto corporeo: una sensazione emerge dallo sfondo del corpo e si fa figura quando la coscienza vi si orienta.
La paura paradossa
Ma è proprio in questa fase iniziale che si attiva spesso un meccanismo profondo e poco visibile: una forma invisibile di resistenza che chiamiamo paura paradossa. A differenza della paura fisiologica infatti, nella paura paradossa il pericolo, seppur inconscio, proviene da noi stessi.
Non temiamo tanto la sensazione in sé, quanto ciò che essa potrebbe dischiudere. Temiamo che ci parli di parti di noi che abbiamo escluso o censurato; temiamo che ci renda vulnerabili se venisse vista dall’esterno, o che una volta ascoltata ci obblighi a cambiare. Questa paura – che agisce spesso al di sotto del pensiero cosciente – ci spinge fuori dal corpo, ci sposta sull’esterno, e inibisce il processo di ascolto. È così che l’esterocezione, ovvero l’orientamento verso ciò che è fuori di noi, prende il sopravvento, disattivando il legame diretto con la sensazione emersa.
La Paura è un'emozione che appartiene al regno animale e quindi a tutti i mammiferi con lo scopo di attivare una reazione davanti al pericolo. Per questa ragione il Sistema Nervoso Autonomo intensifica la simpaticotonia, ovvero il tono muscolare, il battito cardiaco e i sensi esterocettivi con lo scopo di individuare il pericolo o la via di fuga e di reagire per tempo. Fai attenzione a come queste attivazioni siano giustamente orientate verso l'esterno, dove si trova potenzialmente il predatore o altre situazioni di pericolo (incendio, valanghe ecc...). Sono fasi concitate in cui il SNA inibisce quasi completamente il funzionamento vagotonico (ossia il rilassamento muscolare, l'attività degli organi viscerali e l'ascolto di sè) che sarebbe controproduttivo, per tornare all'equilibrio a pericolo scampato. Nell'essere umano la paura ha assunto un comportamento paradossale perchè anzichè attivarsi in presenza di stimoli esterni (predatore) si attiva davanti a sollecitazioni interne (sensazioni inconsce). Il paradosso è che questa attivazione non cambia il funzionamento della paura che continuerà a muoverci verso l'esterocezione in cerca di un pericolo presunto e lasciandoci in preda a quella che oggi definiamo Ansia, mentre avremmo bisogno di attingere all'enterocezione per andare a sentire e differenziare quella parte di noi che ci sta chiamando.
La seconda fase: Differenziazione
Solo quando riusciamo a restare in contatto con quella figura, senza fuggire e senza cercare subito di modificarla per paura (vedi il box teorico sopra), si apre la possibilità della differenziazione. È il momento in cui la figura sensoriale – inizialmente vaga o indistinta – comincia a delinearsi nei suoi contorni e nelle sue caratteristiche percettive. Da stimolo informe e indifferenziato, si fa forma e consistenza. Ed ecco che un vuoto allo stomaco può assumere i tratti di una cavità concentrica che richiama la parte sinistra del torace, portando il corpo a flettersi verso quel punto. La respirazione si riduce, il diaframma si contrae, e con l’approfondirsi dell’ascolto può emergere, in quel punto, una risonanza emotiva – come la tristezza. Questa è la potenza della differenziazione: l’atto percettivo che restituisce complessità e profondità alla sensazione originaria.
La terza fase: Identificazione
A questo punto, il ciclo entra nella fase successiva: l’identificazione. La figura sensoriale non è più solo osservata, ma viene riconosciuta come parte di sé. Non è più “un vuoto allo stomaco”, ma il mio vuoto allo stomaco. È in questo momento che il cambiamento incontra la sua prima resistenza interna: la vecchia immagine di sé si confronta con la nuova parte che chiede di emergere, costringendo la struttura del sé abituale a riorganizzarsi. Questo passaggio può generare instabilità: da un lato può emergere una pressione espulsiva, come se qualcosa dentro di noi volesse liberarsi e trovare più spazio; dall’altro, una tendenza centripeta, che ci porta a ritirarci, a concentrarci, quasi a scomparire. In entrambi i casi che possono essere vissuti con trame emotive del tutto soggettive, la sensazione è nuova, o comunque non abituale, e per questo spesso suscita giudizio. L’ego, che tende a mantenere i confini conosciuti dell’identità, reagisce attivando meccanismi di autogiudizio: “Non dovrei sentirmi così”, “Sto esagerando”, “Non sono io questa parte”.
La quarta fase: Integrazione
Ma se in questa fase riusciamo a riconoscere la voce del giudizio e a rimanere presenti nell’instabilità del cambiamento, allora possiamo accedere alla fase finale del ciclo: l’integrazione. La nuova figura, emersa dal corpo e riconosciuta come parte di sé, viene riaccolta nel campo della coscienza come elemento integrato. Non si tratta necessariamente di una fusione totale o risolutiva: l’integrazione avviene sempre nei limiti di ciò che è possibile in quel momento, e tuttavia lascia in noi una nuova stabilità. Siamo diversi, eppure integri. Qualcosa è cambiato nella mappa percettiva di noi stessi, e quel cambiamento – piccolo o grande che sia – diventa base per un nuovo ciclo.
La vita interiore, soprattutto quando passa attraverso il corpo, non procede per accumulo lineare, ma per fasi ricorsive di emersione, differenziazione, identificazione e integrazione. Imparare a riconoscere queste fasi non significa forzarle, ma abitare il processo con più consapevolezza, accogliendo la saggezza ciclica con cui il corpo ci accompagna nel cambiamento.


