Viviamo in una società che si è smarrita.
Non nelle sue tecnologie, non nel suo progresso materiale, ma nella dimenticanza delle sue origini.
Il legame con la natura — intimo, sensibile, spirituale — si è reciso nel tempo, fino a lasciarci fluttuare in un’illusione di superiorità, come se fossimo altro e oltre rispetto al mondo che ci ha generati.
La civiltà moderna ha eretto un ordine gerarchico in cui l’essere umano troneggia al vertice della creazione, attribuendosi non solo il diritto, ma il destino di dominare ogni altro essere vivente.
Gli animali, gli alberi, le montagne, l’acqua e l’aria: tutto è funzionale, tutto è risorsa.
Tutto è, nella visione dominante, al servizio dell’uomo.
Anche il divino è stato umanizzato. Dio ha assunto forma e pensiero umano, è stato collocato su un trono celeste da cui sembra osservare solo le sorti della nostra specie.
Le altre forme di vita, pur miracoli di complessità, bellezza e intelligenza naturale, restano fuori dalla narrazione sacra, escluse dalla grazia, dal significato, dal destino.
Eppure non è sempre stato così.
In molte culture ancestrali, oggi frettolosamente archiviate come “primitive” o “superstiziose”, il divino non aveva un volto umano, ma si rivelava attraverso gli animali, le piante, le montagne e i fiumi.
Il sacro era ovunque, perché la vita era ovunque.
Gli animali non erano altro, erano fratelli. Non strumenti, ma simboli.
Non oggetti, ma manifestazioni viventi del mistero.
Il lupo, l’aquila, il serpente, il toro, l’elefante, la balena.
Animali adorati, rispettati, temuti, onorati, non solo come totem o archetipi, ma come incarnazioni del divino stesso.
Un’antica coscienza che riconosceva nella natura una rete viva, interconnessa, dove ogni essere è custode del proprio ruolo e portatore di una verità.
Una coscienza che oggi definiamo ingenua o idolatrica solo perché smaschera l’arroganza della nostra modernità.
Quello che in BioMAGIA definiamo: narcisismo evolutivo.
È la convinzione profonda che l’essere umano sia il fine ultimo dell’evoluzione, la creatura eletta, l’unica degna di coscienza, spirito e libertà.
Un delirio di separazione travestito da progresso, che ha inquinato anche le forme spirituali più raffinate.
Persino quando diciamo “connessione”, spesso intendiamo una connessione fra esseri umani — lasciando fuori tutto il resto.
Eppure, il corpo non dimentica, la pelle sa ancora cosa significa toccare la terra, i polmoni ricordano l’aria pulita dei boschi, il cuore si apre davanti allo sguardo di un animale libero.
La nostra fisiologia custodisce tracce di quella appartenenza originaria che nessuna civiltà può estinguere.
Forse non si tratta di diventare come gli antichi, ma di recuperare ciò che abbiamo perduto nel nostro slancio in avanti, di rimettere il piede sulla terra, di onorare la vita dove essa si manifesta, non solo dove si riflette.
Riscoprire il legame con la natura non è un gesto poetico: è un atto di guarigione profonda. Ogni volta che guardiamo un animale negli occhi e vediamo un fratello, ogni volta che riconosciamo sacro ciò che non parla la nostra lingua, qualcosa dentro si ricompone.
E ci ricordiamo che non siamo soli.
E non siamo superiori.
Siamo solo parte di qualcosa di immensamente più grande.

Note tecniche:
- Il termine narcisismo evolutivo esprime un concetto della teoria espressa in BioMAGIA; è inteso come derivazione culturale del narcisismo individuale, esteso a un’intera specie convinta di essere il centro della vita sul pianeta.
- Le religioni animiste e totemiche (es. religioni tradizionali africane, sciamanesimo siberiano, aborigeni australiani, nativi americani) concepiscono il sacro come immanente, incarnato negli animali e negli elementi naturali.
- Il disprezzo moderno verso questi culti è legato a una visione etnocentrica e coloniale che li ha spesso etichettati come “pagani” o “idolatri”.