Il corpo come maestro: la fiducia incrollabile del bambino
Nei primi anni di vita, ogni essere umano vive il corpo non come qualcosa che possiede, ma come ciò che è. Il bambino non si osserva, non si corregge, non si giudica. Si sperimenta.
Sente fame e piange. Sente freddo e si raggomitola. Sente piacere e sorride.
Il corpo è la lente attraverso cui interpreta la realtà e conosce sé stesso.
In questa fase, non esiste distanza tra esperienza e identità: il sentire e l’essere coincidono. La vita è immediata, diretta, non mediata da concetti, modelli o aspettative.
Il corpo fornisce informazioni preziose – emozioni, sensazioni, stati fisiologici – che il bambino non mette in dubbio.
Semplicemente, si affida.
L’adulto: un corpo da correggere
Con il passare del tempo, questa relazione si capovolge. Crescendo, e crescendo nella nostra società, l’essere umano si allontana progressivamente dal proprio corpo.
L’adulto non si affida più, non ascolta più, non sente più fino in fondo.
Anzi, spesso considera il corpo come una parte “inferiore” di sé, da guidare e correggere. Un mezzo, un limite, un ostacolo. O al contrario, un veicolo di piacere da spremere per qualche momento di evasione.
Il corpo diventa oggetto di controllo, di performance, di idealizzazione.
Allenato, curato, represso, modificato.
Non più spazio dell’essere, ma progetto dell’ego.
Il corpo non è più casa
Per l’adulto, il corpo non è più un luogo d’esperienza quotidiana, se non in pochi momenti: durante il sesso, il cibo, la fatica, l’adrenalina. In quei rari frangenti, qualcosa si riapre.
Ma è un contatto breve, spesso consumato senza consapevolezza.
Fuori da queste parentesi, l’adulto si trattiene alla periferia di sé, impegnato a ricostruire un’identità attraverso obiettivi, ruoli e doveri.
La società lo applaude: produttivo, organizzato, efficiente.
Ma dentro, l’esperienza resta vuota.
Non c’è piacere, né senso.
C’è solo il dovere di farcela.
E una fatica che non trova spazio d'esprimersi.
La trasformazione sociale dell’uscita dal corpo
L’uscita progressiva dal corpo non è casuale.
È una traiettoria collettiva, sostenuta e rinforzata dalle strutture sociali: scuola, sport, educazione, lavoro, tutti questi sistemi, nati con buone intenzioni, chiedono al bambino di adattarsi più che di esprimersi.
Di conformarsi, più che di conoscersi.
E così, crescere significa spesso allontanarsi da sé, ma questo allontanamento ha un costo.
E la società in cui viviamo ne è il riflesso.
I segnali del malessere
La disconnessione dal corpo non è solo filosofica o spirituale.
Ha conseguenze reali e tangibili: malattie croniche, disturbi dell’umore, ansia, panico, depressione. Ma anche disturbi del comportamento, dell’apprendimento, del sonno, dell’alimentazione.
E ancora: aggressività insensata, dipendenze, atti di violenza, suicidi.
La lista potrebbe continuare.
E non riguarda solo “casi estremi”.
Riguarda la condizione di fondo di una umanità in fuga da sé.
Il ritorno al corpo come via di guarigione
Non c’è rivoluzione possibile che non passi per un ritorno al corpo.
Non inteso come culto estetico, ma come ritorno al sentire, al percepire, al vivere pienamente da dentro.
Solo ristabilendo una relazione diretta e fiduciosa con il proprio corpo è possibile dissolvere il conflitto originario: quello tra ciò che siamo e ciò che crediamo di dover essere.
Non possiamo continuare a vivere la vita come una condanna.
Siamo venuti per viverla, non per gestirla.
E il corpo, se glielo permettiamo, è ancora il nostro più grande maestro.
Nota:
In questo articolo come negli altri si fa riferimento all’adulto medio come a quella condizione diffusa, anche se non assoluta, in cui l’identificazione mentale prevale sulla consapevolezza corporea. È uno stato collettivamente condiviso, sostenuto da dinamiche culturali, educative e sociali che spingono l’individuo a vivere sempre più fuori da sé, nella ricerca di un’identità costruita.
Box teorico – Corpo, ego e identità
Lo sviluppo del senso di sé avviene inizialmente nel corpo, grazie all’esperienza diretta e alla percezione enterocettiva. Tuttavia, l’identificazione con la mente e l’ego – strutture evolutivamente più recenti – crea un modello di sé disincarnato.
La mente costruisce rappresentazioni di chi siamo, spesso basate sull’approvazione esterna, sui ruoli sociali o su ideali culturali. In questo processo, il corpo viene escluso come fonte primaria di verità.