Per milioni di anni il corpo era stato la casa stabile dell’esistenza.
Ogni funzione — dal movimento al sentire — emergeva in continuità, senza conflitti, senza tensioni residue.
Ma un corpo costantemente represso, trattenuto, inibito ha finito col deformarsi.
La mente, imponendo per decenni e generazioni il proprio controllo sul sentire, ha lentamente modificato non solo la fisiologia invisibile, ma anche la struttura visibile.
- I muscoli profondi, deputati al sostegno naturale, si sono progressivamente atrofizzati.
- I muscoli superficiali, assunti al servizio del controllo volontario, hanno preso il sopravvento.
- Le tensioni croniche hanno stabilizzato posture rigide e antinaturali.
Le posture moderne non sono semplici cattive abitudini.
Sono il riflesso fisico della distanza interiore.
- Spalle chiuse a proteggere il petto.
- Collo spinto in avanti per scrutare costantemente l’esterno.
- Bacino bloccato, incapace di oscillare liberamente.
- Respiro alto e superficiale, sempre pronto all’allerta.
- Ventre rigido, incapace di mollare il controllo viscerale.
Il corpo è diventato il luogo stesso della fatica.
Non più spazio sicuro, ma fonte continua di tensione, rigidità e disconnessione.
L’essere umano moderno abita un corpo che vive costantemente in conflitto tra il bisogno di rilasciare e il comando di trattenere.
Ogni gesto richiede sforzo.
Ogni respiro porta con sé la memoria di una tensione antica.
Ogni momento di quiete è spesso invaso da irrequietezza interna.
Abitare se stessi è diventato difficile.
Il corpo, da luogo dell’esperienza piena, si è trasformato in uno spazio sorvegliato, spesso percepito come estraneo, come un insieme di “problemi” da correggere.
Eppure, proprio in questa deformazione fisica si manifesta il tentativo costante del corpo di adattarsi al peso che la mente gli ha imposto.
Non è debolezza.
È un continuo sforzo di compensazione.
È il risultato di millenni di separazione progressiva.
È da questa deformazione che nasce oggi il bisogno di ritorno.
Un ritorno non verso un ideale astratto, ma verso l’esperienza piena e semplice del proprio spazio interno.