Ci sono momenti in cui, nonostante tutto il nostro impegno, non riusciamo a sentirci. Chi ha iniziato un percorso di ritorno a sé lo sa: non è sempre un sentiero morbido. A volte si entra in contatto con un muro. Un rumore. Un’assenza.
Proprio quando ne avresti più bisogno perchè ti senti "particolarmente fuori", il sentiero già spianato sembra introvabile.
Ti metti lì, magari in silenzio, chiudi gli occhi, ti prepari a percepire qualcosa. E invece… niente. Solo pensieri che corrono, respiro affannato, tensione interna. Il corpo sembra muto, inaccessibile.
È come se qualcosa ti impedisse di entrare.
Quando il sistema si attiva per proteggerci
In queste situazioni è probabile che il sistema nervoso autonomo sia sbilanciato più del solito sul versante simpatico, quello della reazione, della difesa, della fuga.
Non è una colpa né un errore. È una protezione.
Il tuo corpo sta leggendo un pericolo, anche se non ce n’è uno reale. E allora spalanca gli occhi, accelera i pensieri, rende il respiro corto e la presenza nervosa.
Gli input esterocettivi – luce, suoni, movimento, stimoli esterni – diventano dominanti, come se l’ambiente intorno a te fosse da controllare continuamente.
Mantieni uno stato di sorveglianza e di attivazione che ti impediscono di sentirti e di tornare a te.
Lo sforzo che peggiora la situazione
La reazione più naturale, in questi casi, è cercare di contrastare l’agitazione:
«Devo calmarmi.»
«Devo rientrare in me.»
«Devo smettere di pensare.»
Magari chiudi gli occhi, ti concentri sul respiro, cerchi di ignorare ciò che senti all’esterno… ma non funziona.
Anzi: più provi, più sembra che il corpo reagisca.
Come a dire: «Ehi! Pericolo in corso! Perché stai chiudendo gli occhi proprio adesso?!»
La tensione cresce.
E se sei alle prime esperienze, può essere davvero frustrante.
E quindi, che fare?
Invece di remare controcorrente, possiamo fare qualcosa di più profondo e più vero: diventare parte dell’osservazione.
Diventare il testimone di ciò che accade, senza volerlo cambiare subito.
Come un documentarista che riprende un animale selvatico nel suo ambiente.
Il documentarista interiore
Un documentarista non interviene. Non giudica.
Non dice all’animale “smetti di muoverti” o “non essere aggressivo”.
Si avvicina in silenzio, osserva con pazienza, registra ogni dettaglio.
È più interessato a scoprire e a conoscere, che ad agire.
Possiamo fare la stessa cosa con noi stessi.
Diventare testimoni della nostra agitazione.
Guardarla da un'altra prospettiva di noi stessi.
Defilarci come farebbe il documentarista trovando l'angolazione migliore per inquadrarci.
Non aggiungere paura della paura, ma accogliere la nostra condizione così com’è.
Cosa osservare?
Può aiutare fare delle brevi istantanee interiori, come quelle che si scattano con un Iphone e che raccolgono 2 secondi della scena in movimento prima di fermarsi su un fotogramma:
• Inquadrare la nostra posizione del corpo
• Cogliere il respiro nel suo movimento
• L'espressione del volto
• Registrare il brusio della mente
• Intuire le nostre intenzioni
Non serve cambiare nulla. Solo osservare. Proprio come un documentarista.
In questo semplice gesto, in realtà, stiamo già facendo molto.
Cosa accade quando osservi?
Quando sposti lo sguardo dall’agitazione all’osservazione dell’agitazione,
due cose accadono:
1. Diminuirà l’intensità del tuo stato, proprio perché non ci sei più immerso e completamente identificato con esso.
2. Comparirà in te una nuova parte, che osserva. E quella parte è già più calma. È già più dentro. Per osservarti mentre sei spaventato, devi già essere, almeno in parte, non spaventato. Questa è la porta d’ingresso. È l’inizio del ritorno.
Piano piano, qualcosa cambia
Inizialmente potresti non accorgerti di nulla o addirittura fare fatica a indossare i panni del documentarista, ma senza forzare e con un pò di spirito d'avventura dovresti poco a poco osservare delle scene di te.
Attimi, frangenti che ti serviranno a riconoscere il senso di ciò che sta accadendo.
Non appena avrai preso la confidenza necessaria, noterai qualcosa. Variazioni lievi ma percepibili.
Magari il respiro che si fa più profondo.
O il battito che si calma, i pensieri che arretrano un pò sullo sfondo o semplicemente potresti sentire che stai tornando un po’ più presente.
Non sempre sarà evidente.
Dipenderà da quanto è intenso il tuo stato e da quanto è allenata la tua capacità di ascolto.
Ma ogni volta che riesci a non combatterti,
hai fatto un passo dentro.
In sintesi
Quando non riesci a sentire, non forzare il sentire.
Diventa testimone di ciò che accade. In quella distanza, nasce il primo vero contatto.
Note
1. Osservare la paura risveglia l’enterocezione
• Quando osservi ciò che accade dentro di te (respiro, tensione, battito), stai attivando consapevolmente i recettori enterocettivi.
• È un circuito di comunicazione: sali verso la mente, per poi rinforzare il ritorno verso il corpo.
2. Bilanciamento tra simpatico e parasimpatico
• L’ansia o lo stress attivano il sistema simpatico (“lotta/fuga”), stimolando reazioni psicofisiche (respiro superficiale, battito accelerato, paura, aggressività).
• Portare attenzione all’interno, senza giudizio, stimola riflessione nel sistema parasimpatico/vagotonico — capace di rallentare ritmi e respiro.