BioMAGIA Cap. 1  L’evoluzione ci ha separati dal corpo

BioMAGIA Cap. 1 L’evoluzione ci ha separati dal corpo

Questo primo capitolo esplora come la disconnessione dal corpo abbia generato i malesseri più profondi del nostro tempo – e come proprio quel corpo, dimenticato e frainteso, possa diventare la via per ritrovare la nostra interezza.


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1. Introduzione

Nel panorama dell’evoluzione umana, il corpo ha assunto un ruolo paradossale: da fondamento percettivo e motore dell’esperienza, a contenitore spesso ignorato o addirittura ostacolato. L'essere umano ha raffinato capacità straordinarie – linguistiche, sociali, tecnologiche – ma nel farlo ha progressivamente delegato alla mente il compito di mediare ogni percezione, decisione e relazione, rinunciando così a quella conoscenza incarnata che un tempo gli permetteva di orientarsi nel mondo attraverso le sensazioni, le emozioni e i segnali interni. Ha perso il riferimento diretto all’esperienza vissuta, sostituendolo con un pensiero astratto che si è posto come filtro tra il sentire e l’agire.

Il punto di partenza di Biomagia è proprio questo paradosso: una creatura biologicamente complessa e finemente regolata che, nel nome del progresso, ha smesso di percepirsi, perdendo così il senso di sé. Questo smarrimento si manifesta oggi in forme sempre più diffuse di disagio esistenziale: ansia cronica, insonnia, senso di vuoto, difficoltà a sentire emozioni autentiche o a stabilire connessioni profonde. È come se l'essere umano avesse perso la bussola interiore, cercando fuori ciò che un tempo sentiva dentro.

Eppure, proprio da questo malessere può nascere l'impulso a riscoprire il linguaggio del corpo e a ritessere il filo interrotto dell'ascolto. Questi sintomi non sono semplici disturbi da eliminare, ma rappresentano il disperato richiamo del corpo a tornare a sé: una richiesta di attenzione, di presenza, di riconnessione con ciò che è stato escluso. In questa prospettiva, il disagio diventa un messaggero, non un nemico: ci invita a rientrare nella nostra esperienza incarnata, lì dove la vita – e ogni altra cosa – assume il suo vero senso. L’unico luogo dove possiamo tornare a sentirci interi, perché già lo siamo.

Da ricordare: La perdita di contatto con il corpo è alla base del nostro malessere, ma può diventare anche la via per la nostra rinascita.

2. Evoluzione e disconnessione

La verticalizzazione del corpo, la liberazione delle mani, la comparsa del linguaggio articolato e la crescita del cervello sociale hanno progressivamente allontanato l’essere umano da un ascolto diretto del proprio spazio interiore, quello delimitato dal caldo confine della pelle, dentro il quale assume forma, consistenza e interezza la nostra esistenza, come quella di qualunque altro essere vivente. Come cellule, abbiamo un riferimento spaziale e percettivo (la pelle, la nostra membrana) dentro cui ogni meccanismo si è sviluppato nei millenni per permetterci di realizzare a pieno la nostra esistenza. Con l’aumento della complessità cognitiva, l’attenzione si è spostata verso l’esterno, al di fuori della membrana, verso il controllo dell’ambiente che è diventato il luogo dove cerchiamo l’interezza perduta.

Questa trasformazione, che ha avuto molti vantaggi adattativi soprattutto sulle altre specie, ha comportato la più grave perdita che l'essere umano abbia registrato durante la sua evoluzione: il Corpo. Quei preziosi meccanismi che hanno regolato per millenni la vita individuale e sociale di piccoli gruppi e che ancora sono alla base dell'esistenza di tutti gli altri esseri viventi e dei mammiferi in particolare, sono divenuti negli ultimi millenni un ingombro primitivo da cui difendersi e proteggersi.


3. Essere corpo

Il corpo non è semplicemente un mezzo attraverso cui agiamo nel mondo, non è un mezzo di locomozione a cui fornire carburante e da mantenere pulito. Il corpo è quello che siamo. Non puoi essere completamente, se pensi di non essere il tuo corpo. L'essere umano moderno si vive proiettato in ciò che possiede: nella professione, nei titoli di studio, nella notorietà, nel suo ruolo sociale o famigliare. Pensa che queste siano vere e proprie appendici di sé, senza le quali si sentirebbe inutile, mutilato. Questo comportamento è figlio diretto di quanto ci siamo allontanati da noi stessi.

Cerchiamo di sentirci interi attraverso ciò che costruiamo nella nostra vita; ma l'interezza è una condizione fisiologica, per qualunque essere vivente, e coincide semplicemente col percepirsi intero dentro di sé. Le cose e le persone che entrano a far parte della nostra vita non dovrebbero riempirci: dovrebbero fermarsi al confine della pelle, come fa il sole nelle giornate tiepide di primavera.


4. Fisiologicamente infelici

La gioia, la felicità o anche solo la calma sono stati d’animo che hanno una forma: ed è la forma del corpo, per intero, dai piedi alla testa. Quando provi la felicità – quella vera, non indotta da eventi o condizioni esterne, ma come risultante stessa di esistere – ti rendi conto che ti riempie, ovunque, come una brezza che raggiunge ogni luogo sotto la tua pelle. Sei felice perché sei pieno di te.

È per questo che la felicità, intesa come gioia di vivere, è diventata così rara e ricercata: non possiamo più provarla, fisiologicamente parlando, perché non siamo più in grado di essere interi. I riferimenti interni – il sentire, le percezioni, l’intuizione – sono stati sostituiti da riferimenti esterni: orari, doveri, norme, aspettative.

Ma questa condizione – presente in tutti i mammiferi – nell’essere umano è stata via via alterata. Grazie alle doti evolutive, ultime delle quali la ragione, siamo diventati capaci di osservarci e di giudicarci, perdendo "irrimediabilmente" la strada di casa. Abbiamo smesso di interrogarci su come stiamo, e abbiamo iniziato a chiederci come è giusto essere e cosa è giusto provare.

Le certezze non sono più interne, ma esterne, culturali. La fisiologia è stata addomesticata dalla morale. L'interezza è diventata una condizione sconosciuta di cui non custodiamo nemmeno più il ricordo.

Citazione utile: “Essere felici è essere pieni di sé, non pieni di altro.”

5. Il corpo dimenticato

Ogni giorno, milioni di persone vivono senza mai rivolgere attenzione consapevole al proprio corpo. Si svegliano, mangiano, lavorano, fanno sport, dormono… ma non abitano realmente se stessi. La mente guida le azioni, i doveri incalzano, le priorità sono esterne. Il corpo si adatta, esegue, compensa. E quando si ammala o si ribella, lo trattiamo come un guasto da riparare, un ostacolo da rimettere in funzione. Non ci identifichiamo con la stanchezza, col dolore o con la sofferenza, ma accusiamo il corpo di esserne la causa e cerchiamo di porre rimedio.

Eppure, il corpo continua a parlarci. Con la sua saggezza arcaica, cerca di riportarci a casa. Ci indica il punto da cui siamo partiti e la direzione per ritornare. È un richiamo costante e imperturbabile che non può cessare, si può solo fare più intenso e insistente fino a diventare spietato davanti all'indifferenza.

Domanda che apre: E se la tua stanchezza fosse un invito? Non a fermarti, ma a rientrare?

6. Il ritorno a sé

Ritornare al corpo non significa regredire. Non è un passo indietro, ma un passo dentro. È un atto di radicale verità. Vuol dire smettere di rincorrere l’interezza fuori di sé e iniziare a sentirla dentro. Non come concetto, ma come esperienza: una vibrazione, un calore, una presenza. Il corpo non chiede performance, né perfezione. Chiede solo spazio, tempo, ascolto.

Biomagia nasce proprio da qui: dal bisogno di rientrare in contatto con la propria dimensione corporea, non come funzione meccanica, ma come luogo vivo e presente. L’ascolto enterocettivo – ovvero la capacità di sentire ciò che accade dentro di noi – non è un'abilità da imparare, ma un sentiero da riaprire. È la via per ritrovare un’appartenenza perduta, per scoprire che la nostra interezza non è qualcosa da costruire, ma qualcosa che c’è già. Sotto la pelle, nel ritmo del respiro, nel battito del cuore.

Frase finale: L’interezza non si conquista, si riconosce. Basta rientrare.

Nota teorica: La perdita dell’autoregolazione corporea è uno degli effetti meno considerati dell’evoluzione cognitiva. Fonti: Damasio (1999), Porges (2009), Craig (2015).


Connessioni e approfondimenti:

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