BioMAGIA Cap. 5 La paura di sé: il vero ostacolo al ritorno

BioMAGIA Cap. 5 La paura di sé: il vero ostacolo al ritorno

L’essere umano non teme più solo il mondo esterno: teme ciò che potrebbe emergere dal proprio interno. La paura di sé attiva una sorveglianza costante sul sentire, alimentando l’esterocezione, l’ansia e il controllo cronico della fisiologia.


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La paura che non conosciamo

Quando pensiamo alla paura, la immaginiamo rivolta all’esterno: un pericolo, un predatore, una minaccia concreta da cui difendersi.
Così funzionava per milioni di anni nella fisiologia dei mammiferi.

Ma l’essere umano moderno porta dentro di sé una paura diversa: la paura di sé stesso.

Non è una paura dichiarata, visibile o cosciente.
È una paura profonda, sotterranea, che si manifesta attraverso il bisogno costante di:

  • controllare il proprio sentire,
  • sorvegliare i propri stati interiori,
  • evitare certe emozioni,
  • reprimere certi impulsi,
  • censurare certi pensieri.
Non temiamo soltanto ciò che accade fuori.
Temiamo ciò che potrebbe emergere da dentro.

Il terreno della censura interiore

Ogni volta che un’emozione emerge, essa porta con sé un’energia fisiologica concreta:

  • un aumento della frequenza cardiaca,
  • un’alterazione del respiro,
  • un’attivazione muscolare,
  • un cambiamento viscerale.

Quando queste emozioni sono state giudicate inaccettabili, il corpo ha imparato a bloccare la loro espressione prima ancora che si manifestino pienamente.

Non è il pensiero a fermarle:
è la fisiologia che trattiene il loro manifestarsi.

Questa inibizione costante crea un terreno instabile:

  • muscoli pronti a contrarsi senza necessità,
  • respiro che si fa alto e controllato,
  • battito accelerato senza ragione apparente,
  • visceri contratti in uno stato di allerta diffuso.
Il corpo non vive, trattiene.
Non si espande, sorveglia.

L’esterocezione: la risposta fisiologica alla paura

Di fronte a un pericolo, reale o percepito, il sistema nervoso attiva meccanismi antichi e automatici:
prepara il corpo all’azione esterna.

  • I sensi si rivolgono verso l’ambiente: vista, udito, attenzione spaziale.
  • I muscoli si tonificano pronti al movimento.
  • Il respiro si alza e si fa rapido.
  • Il cuore accelera.
  • I visceri sospendono le loro funzioni.

Questa è l’esterocezione: la naturale focalizzazione dell’organismo verso l’esterno per fronteggiare una minaccia.

Nei mammiferi, questa attivazione serve a sopravvivere al predatore, al pericolo imminente.
Nell’essere umano moderno, il meccanismo è identico, ma il pericolo non è più fuori:

  • sono emozioni che non vogliamo sentire,
  • impulsi che temiamo di riconoscere,
  • desideri che giudichiamo inaccettabili.

Il corpo risponde come se dovesse difendersi da qualcosa che, in realtà, sta sorgendo dal proprio interno.

Così viviamo rivolti costantemente verso l’esterno per non incontrare ciò che emerge dentro.

Ma il pericolo non è soltanto ciò che potrebbe salire dall’interno.
È anche il timore costante che gli altri possano vederci per ciò che realmente siamo.

Ogni volta che reprimiamo emozioni, impulsi o aspetti di noi stessi, cresce il timore che questi possano comunque tradirci all’esterno:

  • attraverso gesti, sguardi, esitazioni, fragilità visibili.

Esiste dunque una paura simultanea e bilaterale:
paura del dentro che sale e paura del fuori che osserva.

In questa condizione nasce e si mantiene l’ansia:
un’attivazione costante senza minaccia identificabile, dove l’essere umano vive come preda senza predatore, intrappolato tra il timore di ciò che potrebbe emergere da dentro e il rischio di essere esposto all’esterno.

La società come normalizzazione della sorveglianza

Questa condizione di tensione diffusa non è individuale:
è collettiva.

La società moderna ha creato un ambiente perfetto per:

  • giustificare l’iperattività,
  • riempire ogni spazio di azione e doveri,
  • valorizzare la produttività continua,
  • medicalizzare l’ansia,
  • rendere normali l’insonnia, la stanchezza cronica, la tensione muscolare costante.

Il corpo è escluso dall’identità:
contano i ruoli, i risultati, i pensieri, le prestazioni.

Così viviamo dentro corpi costantemente silenziati e sorvegliati, normalizzando una dissociazione che consideriamo ormai parte della condizione umana.

La vera radice della difficoltà di ritorno

Il ritorno al corpo non è difficile perché complesso.
È difficile perché chiede di attraversare proprio questo campo minato che abbiamo costruito per proteggerci:

  • il sentire che sale,
  • le emozioni che riemergono,
  • le tensioni che si rilasciano,
  • il dolore rimosso che torna a farsi vivo.

La paura di sé è il vero ostacolo al ritorno.
È la guardia più profonda che vigila sull’interezza perduta.

Solo riconoscendo questa paura — senza combatterla, senza giudicarla — possiamo permettere al corpo di riappropriarsi del proprio spazio vitale.


Note tecniche Capitolo 5

  • SNA e risposta di attacco-fuga:
    Cannon W.B. — The Wisdom of the Body (1932);
    Porges S.W. — The Polyvagal Theory (2009).
  • Ansia come allerta senza predatore:
    LeDoux J. — The Emotional Brain (1996);
    Sapolsky R.M. — Why Zebras Don’t Get Ulcers (1994).
  • Esterocezione come spostamento attentivo automatico:
    Craig A.D. — How Do You Feel? (2015).
  • Normalizzazione sociale della dissociazione e medicalizzazione del corpo:
    Ehrenberg A. — La fatigue d’être soi (1998);
    Foucault M. — Surveiller et punir (1975).

Connessioni e approfondimenti


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