Per milioni di anni, ogni organismo vivente ha conosciuto se stesso soltanto attraverso il proprio corpo.
Non esisteva distanza tra essere e sentirsi: vivere significava abitare pienamente il proprio spazio interno.
Il corpo, delimitato dalla pelle come una membrana vivente, conteneva tutto ciò che serviva a regolare l’equilibrio, l’adattamento e la sopravvivenza.
L’interezza non era un obiettivo, era la condizione naturale.
In questa interezza, ogni organismo percepiva il proprio stato attraverso segnali fisiologici continui: la pienezza dello stomaco, la profondità del respiro, il calore della pelle, la densità dei muscoli, il ritmo del cuore.
Non era necessario pensarli, bastava sentirli.
Ogni variazione all’interno di questo spazio era avvertita e regolata in tempo reale, senza l’intervento di alcuna coscienza riflessiva.
Questa capacità di sentire se stessi dall’interno è l’essenza dell’enterocezione.
L’enterocezione non è una funzione mistica o misteriosa.
È il sistema percettivo che ci informa di ciò che accade dentro di noi: la pressione viscerale, la frequenza cardiaca, la tensione profonda dei muscoli, il grado di distensione, il calore, il bisogno di riposo o di movimento.
L’enterocezione è la voce del corpo che non passa attraverso il pensiero.
Quando il Sistema Nervoso Autonomo oscilla liberamente tra attivazione e rilassamento, l’enterocezione è pienamente accessibile.
La fisiologia mantiene il suo ritmo: il corpo si riempie e si svuota, si espande e si raccoglie, sente e regola ogni propria funzione.
Ma nell’essere umano moderno questa oscillazione è stata compromessa.
Abbiamo visto come la paura di sé, la morale e il controllo mentale abbiano silenziato progressivamente questa percezione interiore.
Lo spazio che dovrebbe essere riempito dalla sensazione corporea viene invaso dal pensiero, dall’analisi, dal giudizio.
Così, il corpo perde consistenza.
L’identità si sposta verso l’esterno: nei ruoli sociali, nei compiti, nei risultati, nelle relazioni, nella ricerca continua di qualcosa che ci restituisca quel senso di pienezza perduto.
Ma l’interezza non può essere trovata fuori.
L’interezza è la condizione in cui il corpo è pienamente abitato.
Quando l’enterocezione si affievolisce, si manifesta il vuoto interiore.
Non perché manchi qualcosa di esterno, ma perché non riusciamo più a percepire ciò che siamo.
Eppure, il corpo continua a offrirci la possibilità di ritornare.
Ogni volta che il sistema si rilassa, ogni volta che gli stimoli esterni si attenuano, ogni volta che la mente smette di cercare, la sensazione profonda ricomincia ad affiorare.
L’interezza non si costruisce. Si libera.
Il ritorno all’interno: quando il silenzio diventa ascolto
Quando la mente abdica al proprio controllo, la fisiologia lentamente riprende a mostrarsi.
Non serve compiere grandi sforzi, né applicare complessi metodi.
Basta sottrarre ciò che costantemente invade i sensi.
Ogni stimolo esterno richiama l’esterocezione:
- il rumore attiva l’udito,
- la luce sollecita la vista,
- il movimento richiama l’attenzione,
- la comunicazione verbale stimola il pensiero e la mente sociale.
Più lo spazio esterno si agita, più l’organismo si orienta verso l’ambiente.
L’esterocezione prevale e l’enterocezione si spegne.
Per questo, ogni pratica di ritorno interiore ha da sempre utilizzato gesti semplici e universali:
- Chiudere gli occhi.
- Ridurre i suoni.
- Fermare il corpo.
- Sottrarre la parola.
Sottrarre stimoli esterni permette al corpo di riconquistare il proprio spazio interno.
In assenza di pressioni sensoriali, la percezione naturale delle sensazioni profonde comincia ad affiorare spontaneamente: la presenza del respiro, la percezione della gravità, la consistenza muscolare, il battito, il calore diffuso sotto la pelle.
Ma non è il silenzio che crea l’enterocezione.
Il silenzio è un alleato iniziale, un contesto che facilita il riemergere di un sentire dimenticato.
In natura, l’alternanza tra esterocezione ed enterocezione avviene spontaneamente, senza bisogno di forzare l’ambiente.
Gli altri mammiferi osservano l’ambiente mentre continuano a sentirsi pienamente.
L’ascolto interiore non si spegne nemmeno durante la vigilanza, perché non esiste una mente che sorveglia e giudica i contenuti del proprio sentire.
Il vero equilibrio non è l’assenza di stimoli, ma la capacità fisiologica di oscillare tra dentro e fuori senza perdere mai il contatto con sé.
L’interezza non si conquista: si ricorda
L’errore più profondo dell’essere umano moderno è credere che l’interezza sia qualcosa da costruire, da guadagnare, da ottenere con sforzo e disciplina.
Ma l’interezza è semplicemente ciò che siamo quando non la ostacoliamo.
Non è un traguardo spirituale, né una condizione straordinaria.
È lo stato ordinario e fisiologico in cui ogni organismo vivente si trova quando abita pienamente il proprio spazio interno.
Negli altri mammiferi, questa condizione esiste senza essere nemmeno pensata.
Essi sono interi perché non vivono fuori dal proprio corpo.
La mente non ha ancora invaso l’orchestra fisiologica, non ha ancora imposto il controllo, il giudizio, la morale.
L’essere umano, invece, ha dovuto costruire tecniche, filosofie e pratiche per cercare di riconquistare ciò che naturalmente possedeva.
Ma ogni tecnica rischia di trasformarsi, nuovamente, in esercizio mentale.
Ogni metodo rischia di diventare un nuovo strumento di controllo, un ulteriore ostacolo sulla via del ritorno.
L’interezza non è frutto di sforzo, ma di abbandono.
Non richiede capacità, ma disponibilità.
La difficoltà non sta nell’imparare a sentire.
Sta nel disimparare a controllare.
Sta nel sospendere la sorveglianza che la mente ha installato sul corpo per tornare a sentire la semplicità viva dell’esistenza incarnata.
La fisiologia non ha bisogno di essere rieducata.
Ha solo bisogno che la mente smetta di impedirle di emergere.
Quando questo accade, il corpo torna lentamente a espandersi nello spazio interiore.
Il respiro si allarga, la muscolatura si distende, il cuore si radica, il sistema nervoso autonomo riprende il suo ritmo oscillante.
È in quel silenzio semplice che riscopriamo, senza alcuna tecnica, cosa significa essere vivi.
L’interezza non si conquista.
Si ricorda.
Note tecniche
- Craig A.D. (2002). How do you feel? Interoception: the sense of the physiological condition of the body.
- Porges S.W. (2009). The Polyvagal Theory.
- Damasio A. (1999). The Feeling of What Happens.
- Sapolsky R.M. (2017). Behave: The Biology of Humans at Our Best and Worst.
- Levine P.A. (2010). In an Unspoken Voice.