Avatar: la discesa nell’incarnazione
Photo by Mor Shani / Unsplash

Avatar: la discesa nell’incarnazione

La parola avatar significa discesa. Non un volo mentale, ma il ritorno alla presenza fisiologica. Jake Sully non conquista un nuovo corpo: scende dentro la propria incarnazione, lasciando che il sentire guidi di nuovo il movimento.


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Dietro ogni parola esiste una storia. E a volte quella storia racconta esattamente ciò che stiamo cercando di comprendere.

Avatar è una di queste parole.

Il termine deriva dal sanscrito avatāra, che significa letteralmente discesa. Non semplicemente discesa spaziale, ma discesa dell’essere nella forma. Nella tradizione indiana, l’avatar è l’incarnazione di una divinità che scende nel mondo visibile, prende corpo, si manifesta nel tempo e nello spazio. È il passaggio dall’informe al tangibile. Dallo spirito alla carne.

In questa luce, Avatar non è solo il titolo di un film: è la descrizione di ciò che accade ogni volta che un essere entra nella propria fisiologia. Ogni incarnazione è, in fondo, un avatar: una discesa nella struttura organica del corpo.

Nel racconto che il film mette in scena, Jake Sully compie proprio questo movimento. All’inizio lo osserviamo separato dalla sua incarnazione. Il corpo biologico non risponde, le gambe non lo sorreggono, il movimento non appartiene più alla sua esperienza diretta. È prigioniero di una condizione in cui la coscienza osserva il corpo da fuori, come accade spesso nell’uomo moderno: pensare il corpo, senza più sentirlo.

Quando Jake entra nel suo avatar Na’vi, avviene la discesa. Non si tratta solo di guidare un corpo esterno, ma di tornare a vivere dall’interno. Il movimento non è più controllato dall’alto, ma emerge spontaneo dalla fisiologia. Camminare, respirare, saltare, sentire. La coscienza torna a radicarsi nella carne.

Questo è il vero significato della parola avatar: non la costruzione di un nuovo corpo, ma il ritorno alla presenza organica. Non una conquista, ma una riappropriazione di uno spazio che la mente, in altri modi, aveva perduto.

Anche nel nostro linguaggio contemporaneo, l’uso digitale della parola avatar — il profilo, l’immagine, il personaggio che ci rappresenta nei mondi virtuali — contiene una sua ironia. È l’avatar svuotato: un simulacro bidimensionale, non un corpo da abitare. Un’ulteriore separazione dal sentire, un gioco d’identità che dimentica la radice fisiologica del vivere.

La discesa autentica non è quella nei mondi digitali, ma quella che riporta l’essere vivente dentro il proprio organismo, là dove il sentire può finalmente respirare.

Non c’è bisogno di alcuna tecnologia per compiere questa discesa. Il corpo è già lì, in attesa.

E tu?

Se non avessi bisogno di controllarti, come sentirebbe il tuo corpo la sua discesa?Dove inizierebbe oggi, per te, il ritorno?


Note bibliografiche

  • Reich W. — Analisi del Carattere (1933)
  • Lowen A. — Bioenergetica (1975)
  • Damasio A. — Self Comes to Mind (2010)
  • Cameron J. — Avatar (2009)
  • Monier-Williams M. — Sanskrit-English Dictionary (1899)


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