Abbiamo visto come, in Avatar, i Na’vi rappresentino una forma di vita ancora integra: corpi armonici, simmetrici, privi di quelle deformazioni che la personalità imprime nel nostro organismo. Corpi non deformati perché mai separati da sé stessi. Nessuna maschera sociale, nessuna identità da difendere, nessun Ego da costruire. La fisiologia resta piena, l’individuo resta intero.
Ma il cuore narrativo del film non sta solo nella descrizione di Pandora, quanto nel viaggio personale di Jake Sully.
Jake arriva su Pandora dalla condizione opposta: un uomo che ha perso il proprio corpo. La sua disabilità fisica è, simbolicamente, l’immagine di una disconnessione profonda dall’esperienza corporea originaria. La sua esistenza si svolge all’interno di una struttura sociale e mentale che ha smarrito ogni ascolto della fisiologia. Vive all’interno di una organizzazione che, a sua volta, rappresenta il massimo grado di separazione: la macchina industriale che tenta di sfruttare Pandora.
Quando Jake entra per la prima volta nel suo avatar, ciò che avviene non è solo un esperimento tecnologico, ma un rientro nella sensazione pura: cammina, respira, corre, sente. Non deve più comandare il corpo da fuori. La fisiologia riprende il suo spazio. Il movimento non è pensato, è vissuto.
Man mano che abita il nuovo corpo, qualcosa si trasforma anche nel suo modo di percepire il mondo. Inizia a sentire la rete vivente di Pandora, entra in relazione con Eywa, si connette a una forma di intelligenza naturale che non necessita di controllo o dominio. È l’inizio del distacco da tutto ciò che fino a quel momento aveva rappresentato la sua identità.
Ma questa riconquista della fisiologia non avviene senza conflitto. Per ritrovare il proprio corpo, Jake deve anche disobbedire a quella parte di sé che lo aveva condotto fino lì. Deve rompere il legame con la sua organizzazione d’origine, con il sistema che rappresenta il controllo, la paura, l’espansione egoica. È il momento in cui deve scegliere: rimanere dentro la struttura che lo proteggeva, o attraversare il conflitto per riconquistare il proprio spazio interno.
Il vero viaggio di Jake non è soltanto diventare Na’vi, ma attraversare la perdita dell’adattamento egoico per tornare pienamente nel proprio essere incarnato.
La storia che racconta Avatar, sotto questa luce, diventa una metafora precisa del processo di ritorno alla fisiologia. Non si tratta di un viaggio esotico, ma di un ritorno a sé. Il corpo, quando viene liberato dalle sovrastrutture che lo hanno deformato, non deve essere ricostruito: semplicemente si lascia tornare alla sua forma naturale. Jake, alla fine, non conquista un nuovo corpo: abita finalmente il corpo che aveva sempre cercato.
E tu?
Se lasciassi andare il bisogno di controllare e difenderti, come sentirebbe oggi il tuo corpo? Cosa potrebbe emergere se il movimento, il respiro, la presenza non fossero più sorvegliati?
Note bibliografiche
- Lowen A. — Bioenergetica (1975)
- Damasio A. — Self Comes to Mind (2010)
- Cameron J. — Avatar (2009)