Ansia – quando il pericolo non ha volto
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Ansia – quando il pericolo non ha volto

L’ansia non nasce da un pericolo reale, ma dal tentativo di sorvegliare ciò che potrebbe emergere dal proprio interno e contemporaneamente difendersi dal giudizio esterno. Una paura senza volto che mantiene il corpo in costante allerta.


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Ansia: quando il pericolo non ha volto

Nel corso della sua evoluzione, l’essere umano ha ereditato dal mondo animale un potente meccanismo di difesa: la paura.
La paura ha sempre avuto una funzione chiara e precisa: individuare una minaccia concreta, mobilitare l’organismo, affrontare il pericolo o fuggire.
Il predatore che si avvicina, l’evento improvviso, la minaccia identificabile.
Nel momento in cui il pericolo scompare, la fisiologia si riequilibra, il corpo si rilassa, il ciclo si chiude.

Ma l’ansia non è questo.
L’ansia rappresenta qualcosa di diverso, qualcosa che emerge quando il meccanismo della paura viene attivato in assenza di un pericolo definito, quando il corpo si prepara costantemente alla fuga senza mai individuare da cosa dovrebbe realmente fuggire.

L’ansia è la forma moderna di un’antica risposta che ha perso il proprio oggetto.
Un allarme che continua a suonare senza che nessuno stia forzando la porta.


A differenza della paura, l’ansia non nasce da una minaccia esterna visibile, ma da un intreccio profondo di tensioni che abitano lo spazio interiore dell’essere umano.
Nel corso della sua evoluzione, la mente ha appreso non solo a controllare i gesti e i comportamenti, ma anche a sorvegliare le emozioni, a censurare gli impulsi, a respingere intere porzioni della propria natura interiore.
Non abbiamo semplicemente imparato a trattenere: abbiamo imparato a temere ciò che potrebbe emergere da dentro.

Ogni emozione non elaborata, ogni desiderio giudicato inaccettabile, ogni istinto compresso nel tempo si deposita in profondità, custodito da un sistema nervoso che mantiene sotto controllo la possibilità che queste forze possano riaffiorare.
Il corpo diventa il custode di una parte di noi giudicata e allontanata, trattenuta sotto una tensione invisibile che vigila costantemente sulla possibilità che possa riemergere.


Ma non è soltanto l’interno a generare questa sorveglianza.
L’essere umano teme anche ciò che gli altri potrebbero scorgere.
Non è la semplice paura del giudizio altrui, ma il timore che le proprie fragilità, emozioni o verità nascoste possano emergere all’esterno, esponendoci al rischio di essere scoperti, valutati, esclusi.

Così l’ansia si costruisce su due fronti contemporaneamente attivi:
da un lato la paura di ciò che sale dal proprio mondo interno, dall’altro la vigilanza costante verso l’esterno per prevenire che quel materiale venga percepito dagli altri.

L’organismo si trova allora in uno stato di allerta permanente, in cui il pericolo non è più localizzato né circoscrivibile, e che l’essere umano vive in modo quasi del tutto inconscio.
Si tratta di una minaccia diffusa, che avvolge e accompagna l’intera esperienza quotidiana, senza mai offrire al sistema la possibilità di completare la risposta e tornare al proprio equilibrio.


Dal punto di vista fisiologico, l’ansia attiva esattamente gli stessi circuiti ancestrali della paura: il sistema nervoso autonomo viene sbilanciato verso l’attivazione simpatica, la muscolatura si irrigidisce, il respiro si fa alto e rapido, i visceri riducono le proprie funzioni, i sensi rimangono costantemente orientati verso l’ambiente.

Ma mentre negli altri mammiferi il ritorno all’equilibrio avviene al cessare del pericolo reale, nell’essere umano questa condizione può prolungarsi indefinitamente.
Non essendoci un predatore esterno da cui fuggire, e non potendo entrare realmente in contatto con ciò che il corpo custodisce all’interno, il sistema rimane cronicamente sospeso in una vigilanza senza soluzione.

In questa attivazione protratta si radica la natura stessa dell’ansia: uno stato di preda senza predatore, in cui l’essere umano si sente costantemente circondato da una minaccia che non riesce né a localizzare né a disinnescare.


L’ansia, in realtà, non è il nemico.
È il segnale di un corpo che continua a custodire ciò che non ha mai avuto il permesso di esprimersi.
Ogni crisi d’ansia rappresenta il tentativo disperato dell’organismo di gestire simultaneamente la pressione interna e il rischio esterno di esposizione.

Non si tratta dunque di reprimere l’ansia, di gestirla o di contenerla, ma di riconoscerla per ciò che realmente è: la soglia attraverso la quale può finalmente avviarsi un ritorno pieno all’interezza.

Solo riaprendo lo spazio interiore, accettando di incontrare ciò che per anni è stato trattenuto, l’organismo può interrompere questa vigilanza cieca e ripristinare il proprio equilibrio naturale.


Note tecniche

  • Distinzione paura/ansia e attivazione del SNA:
    LeDoux J. — The Emotional Brain (1996);
    Porges S.W. — The Polyvagal Theory (2009).
  • Meccanismi di sorveglianza interna e repressione emotiva:
    Damasio A. — The Feeling of What Happens (1999);
    van der Kolk B. — The Body Keeps the Score (2014).
  • Ansia come attivazione cronica senza minaccia concreta:
    Sapolsky R.M. — Why Zebras Don’t Get Ulcers (1994).

Connessioni e approfondimenti


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